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LA CESSIONE DEI CREDITI IN BLOCCO E L’ISCRIZIONE ALL’ALBO EX ART. 106 TUB Corte di Cassazione ordinanza 18 marzo 2024, numero 7243

  • Immagine del redattore: stefania ramoino
    stefania ramoino
  • 10 nov 2024
  • Tempo di lettura: 3 min




La diffusione del fenomeno della cd. cartolarizzazione dei crediti ex legge 30 aprile 1999, numero 130, ha, in questi ultimi anni, portato all’attenzione dei Tribunali una particolare questione nell’ambito del recupero coattivo dei crediti: la legittimazione attiva del creditore procedente declinata in relazione alle conseguenze, sull’azione esecutiva intrapresa dal “mandatario” della società di cartolarizzazione, della mancata iscrizione all’albo di cui all’art. 106 TUB (Elenco degli Intermediari Finanziari).

Tale problematica sta assumendo una portata quasi sistemica in considerazione del fatto che sempre più spesso il Giudice dell’Esecuzione si trova a dover decidere in ordine al tentativo del debitore esecutato di paralizzare la prosecuzione dell’iter espropriativo, lamentando la carenza di legittimazione attiva del procedente ovvero del suo mandatario a fronte appunto della mancata iscrizione di quest’ultimo nell’elenco ex art. 106 TUB.

A dirimere l’intricata matassa venutasi a creare in ambito giurisprudenziale in ordine alla necessità che il servicer debba o meno essere iscritto all’Albo ex art. 106 TUB è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 7243 del 18 marzo 2024, che, come taluni commentatori hanno evidenziato, risulta aver sublimato la confutazione della base ideologica di gran parte della produzione dottrinaria e giurisprudenziale circa il valore effettivo della normativa di cui al combinato disposto degli artt. 2, comma 6, legge 130 del 1999 e 106 TUB.

Ed ecco la ragione.

Chi sostiene che la mancata iscrizione del servicer debba comportare un insanabile vizio di rappresentanza, con conseguente nullità del conferimento dell’incarico di recupero forzoso del credito, fonda la propria tesi sulla natura giuridica delle citate disposizioni, ritenute norme imperative inderogabili in quanto poste a presidio di interessi pubblicistici.

Ebbene, la Suprema Corte, con l’ordinanza de qua, ha osservato preliminarmente che, in relazione all’interesse tutelato, qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, ma ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di “preminenti interessi generali della collettività” o “valori giuridici fondamentali.

Questo comporta che le molteplici disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il TUB o il TUF) non possano essere qualificate in termini imperativi e non abbiano alcuna valenza civilistica, attenendo semplicemente alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie).

Prosegue sempre la Cassazione, non vi è dunque alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale (o persino sugli atti di riscossione compiuti) le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva, asseritamente viziati da un’invalidità “derivata».

La conclusione a cui pervengono i Giudici di legittimità è dunque lapidaria e parrebbe non lasciare spazio a dubbi interpretativi di sorta:

… dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB del soggetto concretamente incaricato della riscossione dei crediti non deriva alcuna invalidità, pur potendo tale mancanza assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici.

Regime di vigilanza, che, come opportunamente evidenziato da Banca d’Italia, è equivalente a quello delle banche ed è finalizzato a perseguire obiettivi di stabilità finanziaria e di salvaguardia della sana e prudente gestione, declinato secondo il principio di proporzionalità per tener conto della complessità operativa, dimensionale e organizzativa degli operatori, nonché della natura dell'attività svolta.

In questo ambito, i controlli sono esercitati nel rispetto della natura imprenditoriale dei soggetti vigilati e si sostanziano attraverso analisi e interventi finalizzati a individuare tempestivamente segnali di potenziali anomalie negli assetti tecnico-organizzativi e a sollecitarne la rimozione mediante appropriate misure correttive.

Essi, di natura prevalentemente documentale ed ispettiva, riguardano tutti gli aspetti dell'operatività degli intermediari e si focalizzano sulla coerenza degli assetti organizzativi, sulla qualità della gestione e del controllo dei rischi, sull'adeguatezza del patrimonio a fronteggiare eventuali perdite, sulla trasparenza e sulla correttezza nei confronti della clientela.



 
 
 

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